Matteo Galasso è morto a soli 26 anni dopo una lunga malattia: sua madre Grazia ha raccontato la sua storia, e la beffa subita dopo una visita all’Inps che dopo un tumore alle ossa e un trapianto di cuore ha avuto il coraggio di abbassare dal 100% all’80% la percentuale di invalidità di questo ragazzo.
“Quanto altro tempo poteva vivere mio figlio? Aveva superato un tumore e un trapianto di cuore: cosa c’era di male a rendergli una vita più dignitosa confermandogli un accompagnamento? Cosa c’era di sbagliato a legittimare la sua malattia? Togliere un accompagnamento ad un ragazzo che ha sofferto tanto e che comunque non aveva poi tante possibilità di vita, è un’ingiustizia grande.”
Sono queste le parole drammatiche di una mamma che ha perso suo figlio Matteo, in età molto giovane. La signora Grazia Triggiani, 57 anni, probabilmente non si arrenderà finché non vedrà una barlume di giustizia sulla prematura scomparsa di suo figlio Matteo Galasso, morto a soli 26 annidopo una vita di sofferenze.
Originario di San Nicandro Garganico, in provincia di Foggia, la lunga malattia di Matteo iniziò nel 2000, a soli 15 anni, quando i medici gli diagnosticarono un osteosarcoma (un tumore maligno primitivo dell’osso) e, dopo cure e molti cicli di chemioterapia, fu costretto a inserire una protesi in titanio nella gamba.
La sua vita, ovviamente, era notevolmente peggiorata e non riusciva più a svolgere le attività dei suoi coetanei: anche il solo piegarsi era diventata un’azione difficile da compiere. In questo lungo periodo, Matteo era costretto a prendere molti farmaci per contrastare il rigetto: “Sono convinta che è anche per colpa di queste medicine che mio figlio è diventato cardiopatico”, ci ha raccontato sua madre Grazia.
“A peggiorare ulteriormente la situazione ci pensò lo Stato, quando nel novembre del 2010, a distanza di 3 anni dal trapianto di cuore, ci impose una visita di controllo all’ Inps: dovevamo esibire tutta l’iter di mio figlio per far sì che la pensione d’invalidità e l’accompagnamento fossero confermati. Eravamo sicuri che si trattasse solo di una formalità. Il nostro medico curante ci disse addirittura che se avessero tolto l’accompagnamento a Matteo l’avrebbero dovuto togliere praticamente a tutti“, spiega Grazia.
Ma, in un Paese pieno di paradossi succede l’incredibile: “Quando andammo alla visita, c’erano moltissimi ragazzi proprio come mio figlio Matteo che dovevano fare i loro controlli – aggiunge Grazia -. Matteo camminava con delle scomodissime stampelle. Dopo aver letto tutta la documentazione che attestava le malattie di mio figlio, come se non bastasse il medico gli chiese di spogliarsi, di abbassarsi i pantaloni perché voleva vedere con i suoi occhi la cicatrice del trapianto. Sia io che mio marito, presenti in quel momento, ci ricordiamo benissimo il modo in cui mio figlio è stato visitato quel giorno. Ci siamo indignati moltissimo: nonostante il medico avesse visionato la documentazione e la cicatrice del trapianto al cuore, gli disse di abbassarsi i pantaloni perché voleva vedere la cicatrice della gamba. La cosa che ci ha colpito è la freddezza con la quale è stata fatta questa visita.”
L’esito della visita, dopotutto, lasciava intuire qualcosa di positivo: “Siamo usciti da lì convinti che l’accompagnamento sarebbe stato confermato e che il medico non avrebbe mai revocato nulla. Ma non è stato così. A distanza di qualche mese ci è arrivata una lettera a casa, nella quale c’era scritto che il 100% di invalidità veniva ridotto all’80%. Reagimmo con rabbia: dopo l’umiliazione subita e il nostro dramma che durava da anni, dovevamo fare i conti anche con questa beffa assurda. Ricorderò per sempre la scena di mio figlio che si avvicinò a mio marito, lo abbracciò e gli disse “papà non ti preoccupare, si vede che sono guarito e posso lavorare”. Non meritava tutto questo”, aggiunge Grazia.
Durante la sua malattia, Matteo era diventato molto bravo a scrivere: “Quando lessi per la prima volta ciò che scriveva – aggiunge mamma Grazia – rimasi stupita: non immaginavo che fosse così bravo. Sua sorella Antonella ha voluto raccogliere tutti i suoi scritti: l’obiettivo è pubblicare un libro, intitolato “La vulnerabilità spirituale” per far conoscere i pensieri di Matteo, un ragazzo come ce ne sono molti, che ha a che fare con una drammatica malattia e, come se non bastasse, con un sistema che non tutela chi ne ha bisogno”.
“Il destino ha voluto che, a 15 anni, fossi sottoposto ad affrontare degnamente una battaglia – si legge sui fogli scritti da Matteo -, per poi riscoprire il mio vero carattere e capire che la forza è nello spirito e che le lotte più dure si affrontano col pieno controllo di esso. I primi mesi soffrii moltissimo sia fisicamente che moralmente: ero privo di forze, la maggior parte del tempo lo passavo coricato su un letto che sorreggeva un corpo privo di peso e un animo carico di sofferenza. Il cibo non riusciva a restare in corpo, la voglia di mangiare era ormai un ricordo e le lacrime erano le uniche che riuscivo ad assaporare. La mia casa era popolata da persone condannate ad una sofferenza interminabile, ma tutto questo doveva finire”.
Matteo poi, racconta il suo rapporto con la morte: “In quei quattro mesi mi ritrovai a fare i conti con la Morte parecchie volte. La notte era uno dei momenti più duri: avevo paura di addormentarmi perché in realtà avevo paura di non svegliarmi più. Quella sensazione di abbandono, di stanchezza che si ha prima di cadere in un sonno profondo, mi causava panico e stati d’ansia. Mi alzavo di colpo con la sensazione che qualcosa mi impedisse di mandare giù aria. Volevo che qualcuno mi stesse vicino per controllare il mio respiro nella notte. E’ terribile chiudere gli occhi col pensiero di non aprirli il giorno dopo”.
“Un ragazzo come me che cosa ha da dire al mondo? Provo a scrivere questa storia, anche se non so se verrà mai pubblicata”, scriveva Matteo nei suoi testi.
La mamma vorrebbe fargli sapere che quel giorno è arrivato. Quel giorno è oggi.
Fonte: fanpage.it